Le reti berlusconiane – editandole in italiano – fecero fare al pubblico nostrano un altro salto sociologico assieme all’operazione di altro tipo fatta con le soap e le telenovelas su Rete 4. E si diede compimento alla targetizzazione dei canali incoronando Italia 1 a rete young della tv italiana. Un’operazione di grande successo anche con le produzioni italiane (I ragazzi della 3C, Classe di ferro, College) e quelle americane (Baywatch, X Files e appunto Beverly Hills e Melrose Place). Nello specifico, Luke Perry e gli altri personaggi della serie ci hanno offerto un affresco up and down della gioventù americana anch’essa (a tutt’oggi) divisa per censo, allorquando la medio-bassa borghesia trasferita nella ricca Los Angeles si caccia nei guai, si innamora senza distinzioni di reddito. In questa identificazione fortissima, Luke Perry divenne il personaggio più discusso, contraddittorio e per questi motivi amato dalle under 20 di quel decennio. Un ruolo per lo storytelling perfetto: rampollo di una famiglia miliardaria, ha problemi con l’alcol e con la famiglia stessa e un atteggiamento da duro dietro al quale si nasconde un’anima fragile e gentile. Bel tenebroso, ama la poesia, la musica, i film d’epoca, è sensibile al fascino femminile e ricambiato con altrettanto “amore” (non si conta il fatturato del merchandising delle riviste teen di quegli anni, poster e magneti nelle stanze, adesivi sugli scooter, etc.) dalle fan di mezzo mondo, Italia inclusa. Perry è un idolo dei teenager, la serie viene considerata ancora oggi un cult degli anni 90. Le sue love story con Kelly Taylor, la biondina spocchiosa, e la bruna Brenda Walsh vengono vissute come uno scontro epocale che divise il pubblico femminile in tifoserie da stadio.
Per noi – maschietti con il filo di barba al liceo – la pazienza di vedere il dopo-telefilm al mercoledì mattina con lo scontro tutto interno alla classe tra le compagne alla Kelly e quelle pro-Brenda, sfigate contro snob, divise sul parrucco o il colore della gonna ma tutte cotte del bello e maledetto Dylan. Perché non è amore se non è un po’ morte.