Lei teneva un diario. Esiste e dentro ci sono i suoi pensieri e i suoi dolori…soprattutto il suo dolore. Vedendo le sue foto non lo si potrebbe immaginare. Ma è stato così. Gia Carangi era troppo bella per morire e troppo spericolata per vivere. Nata a Philadelphia nel gennaio del 1960, viene notata fuori da un locale, appena diciassettene, da un fotografo di moda che le chiede di posare per lui.
Quelle foto, speciali, vivevano. Erano ben diverse dalle immagini statiche e perfette tipiche di quegli anni. Gia si muoveva come una belva in gabbia, il suo corpo sensualissimo e il suo sguardo torbido, sprigionavano sesso e trasgressione come mai si era visto prima. Era una “ragazza di Bowie”, bellissima e sfacciata, attratta dall’ambiguità sessuale del suo idolo, dagli eccessi, manipolatrice ma soprattutto bisognosa d’affetto. Il fotografo la spedì immediatamente a New York da Wilhelmina Cooper, titolare dell’omonima agenzia di modelle, che in quegli anni gestiva le carriere delle donne più belle del pianeta. Gia era differente dalle modelle in voga in quel periodo, era diversa da chiunque. La Cooper comprese immediatamente l’enorme potenziale di quella ragazza che vestiva e parlava come un motociclista, ma davanti all’obiettivo posava con una naturalezza e intensità uniche.
“Questa è una carriera, questo è un futuro, se lo vuoi avrai il mondo nelle tue mani”, furono le prime parole che Wilhelmina espresse dopo aver conosciuto Gia di persona. E così fu, in parte. In cima all’Olimpo della bellezza, Gia ci arrivò come un urugano. Da quel momento quel mondo non sarebbe stato più lo stesso. Nè per lei, nè per gli altri. Successe tutto all’improvviso, il suo volto era ovunque, sui magazine più importanti del mondo, a rappresentare gli stilisti più conosciuti ed ispirare i grandi maestri della fotografia. Poco più che diciottenne era la modella più pagata del mondo, icona di un sistema decadente, fatto di eccessi di ogni genere ma anche intriso d’arte ed emozioni.
Carnale, passionale, audace sulle pagine delle riviste di moda ma eternamente in conflitto con tutti nella vita reale, Gia aggrediva continuamente e consapevolmente, come a proteggersi da un mondo che l’aveva eletta regina pur non sapendo nulla di lei e di cui, troppo presto ne scoprì la durezza. Quando nel 1980, Wilhelmina (Willy come lei amava chiamarla) morì di cancro, Gia era ancora una ragazzina in cerca di sè e il suo carattere difficile comiciò ad assumere sfumature sempre più autodistruttive. Sola, senza punti di riferimento ma incaricata di esserlo. Troppo per la sua anima così fragile. Da quel momento in avanti l’inferno sarebbe cominciato. La sua dipendenza dalla cocaina, utilizzata per darsi carica e reggere i ritmi forsennati che la sua carriera e i continui viaggi in tutto il mondo le imponevano diventò, ben presto, dipendenza di ogni altro tipo. Mentre la sua immagine raccontava di una donna forte, ricca, anticonformista, sofisticata e di successo, Gia scendeva all’inferno.