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Burly’s – Trasformiamo la cucina in un’esperienza indimenticabile

Burly’s – Trasformiamo la cucina in un’esperienza indimenticabile

Alessandro Nava
Burly's

L’amicizia, la stima reciproca e una grande passione per la cucina sono gli ingredienti che hanno dato forma a Burly’s, un’apprezzata realtà di catering che mette la qualità del cibo al primo posto ed è pronta a diventare un Brand.

Alberto Furlan e Andrea Bordignon, veneti entrambi, sono due chef molto richiesti, capaci di proporre gusti originali nati da abbinamenti inaspettati e accattivanti, in cui tradizione e sperimentazione trovano un perfetto equilibrio offrendo, a chi s’affida a loro, un’esperienza indimenticabile. 

Ho avuto il piacere di conoscerli a pranzo e anche di assaggiare la loro strepitosa “giardiniera”.

Alberto raccontami di Andrea, come lo descriveresti? 

Bè Andrea oltre ad essere un grande amico, è sicuramente la parte più organizzata dal punto di vista burocratico e pratico.

E tu Andrea come descriveresti Alberto?

Alberto è stato, ed è, il mio mentore. Oltre ad essere un vero amico è uno chef dotato di molto gusto e creatività.

Un connubio perfetto allora! Quando è nata la vostra amicizia?

Alberto – Ci siamo conosciuti nel 2011 nel ristorante in cui lavoravo allora, io ero il Sous Chef e Andrea aveva appena cominciato uno stage.

Andrea – Per me era tutto nuovo, è stato il primo impiego professionale nell’ambito della cucina e della ristorazione; quello che so e le mie competenze le devo al mio ex titolare e certamente ad Alberto. Come ti dicevo è stato un insegnante e continua ad esserlo.

Mi sembra di capire che ci sia stata intesa fin da subito, tanto che ad un certo punto, dopo qualche anno, avete scelto di mettervi in proprio. Com’è nato il progetto Burly’s? Cosa vi ha portato a dire questo è il nostro Sogno, diamogli forma?

Quello che ci ha fatto svoltare e ci ha convinti a cominciare un percorso in autonomia senza più stare alle dipendenze di qualcuno è stato il bisogno di esprimere la nostra visione, ci sentivamo maturati e bisognosi di dare forma alle nostre idee e fare le cose a modo nostro.

E perché avete scelto di fare catering e non di aprire un ristorante?

Alberto – Noi da dipendenti facevamo già la banchettistica, in posti esclusivi e abitazioni di lusso perché la clientela del nostro precedente datore di lavoro era una clientela importante. Tra le esperienze fatte prima di scegliere di dedicarci a Burly’s c’è stata anche quella, da parte mia, dell’intera gestione della cucina di un altro ristorante aperto sempre da lui e mi sono reso conto che, per quanto si possa fare bene da mangiare, è sempre complicato gestire tutto ciò che tiene in piedi un ristorante. 

Burly’s – La nostra passione è cucinare

Da qui quindi la volontà di alleggerire il carico e concentrarvi solo sulla vostra passione, cucinare?

Sì, esatto. Abbiamo scelto di fare un passo alla volta, partendo da ciò che amiamo di più, ovvero cucinare. Nel progetto ci abbiamo sempre creduto ma abbiamo anche pensato che se avessimo avuto una mole di lavoro tale da assumere qualche dipendente bene, diversamente saremmo stati solo noi e non avremmo dovuto addossarci costi e altre responsabilità.

Inquadriamo temporalmente il periodo in cui tutto è partito e raccontatemi anche com’è stato agli inizi.

Siamo nati nel febbraio del 2018 e il primo anno è stato dedicato alla “semina”, poi le cose hanno cominciato ad andare. E’ stato un crescendo sia in termini di risultati oggettivi che di soddisfazioni personali. Quando abbiamo cominciato come ti dicevo era Febbraio e avevamo quindi perso gran parte dei matrimoni poiché le prenotazioni avvengono con mesi d’anticipo e il periodo più intenso di lavoro va da Maggio ad Ottobre, abbiamo però lavorato molto con i banchetti privati. L’anno successivo abbiamo fatto una decina di matrimoni e poi è arrivato il Covid ma, superato il periodo delle restrizioni, ci siamo rimessi a lavoro. Nell’ultimo anno abbiamo fatto poco più di quaranta matrimoni e decine di eventi.

Voi vi occupate di tutto, dall’accoglienza al food & beverage, creando un’esperienza unica nel suo genere, chi si rivolge a voi?

Sì, ci occupiamo di tanti aspetti e chi sceglie il catering rispetto alla ristorazione tradizionale lo fa per una serie di ragioni, prima fra tutte l’intimità che si crea con i nostri clienti e il senso di fiducia che riusciamo a infondere loro. E’ importante ascoltare, non solo superficialmente, comprendere desideri e aspettative perché ci stanno affidando la celebrazione di un momento importante della loro vita. Hanno poi modo di fare calcoli più accurati sulla quantità di materie prime da utilizzare, c’è un minor spreco di cibo e la possibilità di cercare la migliore qualità degli ingredienti e di ricevere quindi un servizio davvero personalizzato.

Come vi fate conoscere?

Bè il passaparola è fondamentale. Immagina che ciascun matrimonio, o evento, ha degli ospiti che potrebbero essere dei potenziali clienti o comunque farsi portavoce dell’esperienza vissuta e poi facciamo comunicazione digitale, cerchiamo di usare al meglio gli strumenti a disposizione.

E come vorreste essere riconosciuti? Chi sono i vostri clienti ideali?

Noi abbiamo puntato tutto sulla qualità della cucina. Molti nostri concorrenti puntano su quello che è l’aspetto più visivo e meno “concreto”, trascurando a volte le materie prime utilizzate e la vera qualità del cibo. Chiunque partecipa ad un banchetto come ospite o come cliente si ricorda solo di una cosa, come hanno mangiato e come si è sentito. Negli ultimi anni poi la cucina italiana è diventata un vero trend attraverso i social e i programmi tv e il cliente ha iniziato ad avere uno sguardo molto più critico su ciò che va effettivamente a mangiare. Ci piace che ad affidarsi a noi siano persone in grado di apprezzare ricercatezza e qualità.

Cosa vi serve sapere per creare un’atmosfera indimenticabile? Come riuscite a proporre il giusto menù?

La cosa fondamentale prima di andare a creare un menù è conoscere i clienti, ascoltarli e confrontarci con loro, capire da dove arrivano per esempio, quali sono le loro origini. Ricordo di un matrimonio, molto riuscito, in cui lo sposo era peruviano e abbiamo quindi creato un menù che potesse soddisfare anche gusti che si differenziano da quelli più tipicamente italiani. Ci piace sperimentare, creare “contaminazioni” che permettono di dare vita a piatti originali. Alla base c’è la curiosità, la ricerca e la sensibilità per ascoltare anche ciò che non viene detto.

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Andrea Bordignon e Alberto Furlan – Burly’s

Raccontatemi un aneddoto piacevole legato ad un matrimonio particolarmente riuscito.

Uno dei primi matrimoni direi, era il 2019 e questa coppia ancora oggi nel giorno del loro anniversario ci commissiona lo stesso menù e la torta, solo per loro. Avevano vissuto in tante regioni d’Italia e quindi dall’aperitivo alla prima parte della cena, ogni buffet conteneva uno dei piatti tipici della regione. E’ stato molto apprezzato dagli ospiti che arrivavano da ogni parte d’Italia e ci ha fatto capire che eravamo sulla strada giusta.

Come vi dividete i compiti?

Nel momento in cui uno di noi fa il primo appuntamento con una coppia o un cliente, ne diventa una sorta di angelo custode; è quello che segue il banchetto e non rimane in cucina. 

Qual è stato il momento più difficile?

Direi lo stesso matrimonio (ridono) perché è arrivata all’improvviso una tromba d’aria!

Bè contro le calamità naturali non si può fare molto…

Già, ma per fortuna non ha rovinato l’atmosfera (sorridono).

Che progetti ci sono nell’immediato futuro?

Stiamo investendo molte energie nei nostri prodotti sott’olio e, soprattutto, nella nostra giardiniera. 

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Già, perché oltre all’attività di catering avete creato una linea di prodotti. Com’è nato questo progetto?

E’ nato durante il periodo della Pandemia. La proponevamo già nei nostri menù abbinata ai grandi salumi italiani. Durante il lock down ci è venuto in mente che poteva avere senso metterla in vasetto e proporla slegata dai banchetti. Per il momento facciamo una piccola produzione ma il mercato la sta molto apprezzando e diversi ristoranti l’hanno scelta. Non c’è nulla d’industriale, è tutto fatto artigianalmente e questo per noi è un valore aggiunto ma confidiamo che il progetto cresca, noi siamo pronti a crescere.

Perché Burly’s?

Viene dalla fusione dei nostri cognomi e soprannomi, Andrea Bordignon detto Bordy e Alberto Furlan detto Furly. Tutto nasce da un cocktail  che abbiamo inventato durante le giornate di lavoro, una specie di Spritz che qui da noi va tantissimo (sorridono) fatto con il passion fruit ed erbette aromatiche come il timo limonato, le foglie di menta e il basilico che chiamammo Burly’s. Anche il nostro logo, l’airone, è un omaggio alla nostra terra. Volevamo che fosse un nome che simboleggiasse la nostra amicizia e anche la passione per il nostro territorio.

Quali sono i valori più importanti per voi, come persone e come professionisti? 

Andrea – La trasparenza e la sincerità, fra di noi e con i nostri clienti. E poi direi la sensibilità nel riconoscere i bisogni degli altri e trattare i clienti.

Al netto della passione che chiaramente vi unisce per la cucina, cos’altro vi appassiona?

Alberto – In comune il buon vino e le serate in compagnia (sorridono) ma Andrea è appassionato anche di basket e di musica.

Rispetto ai vostri sogni da ragazzi vi sentite d’essere sulla giusta strada?

Alberto: Credo di averla intrapresa solo in età avanzata la giusta strada, da adolescente ne ho combinate di tutti i colori, ho rischiato di perdermi davvero. Devo molto al percorso che  ho avuto la fortuna d’intraprendere.

E quale è stato il momento di switch, quando hai deciso di mettere la “testa a posto”?

Quando una persona ha riconosciuto in me delle capacità e delle qualità che nemmeno io ero riuscito a cogliere e mi ha messo in cucina per la prima volta.

E’ proprio vero che c’è spesso bisogno di un’occasione..

Sì, assolutamente!

E tu Andrea?

Io ho fatto un percorso meno difficoltoso rispetto ad Alberto, ma ho fatto anche io scelte sbagliate, soprattutto di studio. Sono stato spinto a credere di essere portato per determinate cose, per altri settori, ma non mi sentivo realizzato. Ad un certo punto ho deciso di farmi influenzare di meno, ho preso coraggio e consapevolezza di ciò che mi rendeva felice e ho lasciato l’università per fare l’alberghiero serale e poter diventare cuoco. Dopo pochi mesi ho conosciuto Alberto e il resto è storia (sorride).

A volte la cosa più difficile è comprendersi davvero, ascoltare le proprie passioni e avere la forza di coltivarle. Cosa consigliereste a dei giovani che intendano fare questo mestiere?

Quello che abbiamo notato durante gli stage che vengono a fare gli studenti delle scuole alberghiere è che manca spesso la forza di volontà e la piena coscienza di cosa comporti questo lavoro. Prima di dire mi piace cucinare perché magari l’ho visto fare in qualche format televisivo o sui social ci sarebbe da chiedersi “ho la forza e la voglia di sopportare la fatica e i sacrifici necessari”? Bisogna davvero lavorare sodo prima di ottenere risultati e gratificazioni.

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