Quanto è stato importante nel suo successo avere la possibilità di esprimere il proprio talento liberamente?
Io ho avuto la fortuna di avere dei genitori che amavano la musica. Mi hanno insegnato a usare la musica non solo come divertimento, ma anche come arricchimento, sono stato facilitato in questo. Io non mi sono mai sentito a disagio in una società che amava i Beatles e i Rolling Stones. Io pure li seguivo con passione. Quando ho iniziato a cantare, la musica italiana era dominata dal cantautorato. Un cantautorato che ha dato risultati bellissimi, anche se apparentemente in contrasto con la lirica. Dico apparentemente perché se ascolti Fabrizio De André, capisci che lui conosceva la musica a 360 gradi
Ha debuttato nel 1984. Che tipo di cambiamento ha potuto constatare nell’approccio all’opera lirica, durante questi trent’anni?
Un cambiamento molto forte. Soprattutto con il passaggio al nuovo millennio. Un rinnovamento che però ha portato con sé una forte mancanza di rispetto. I compositori di un tempo necessitano di essere rispettati. Si possono fare regie innovative, anche belle, ma quando queste prevaricano il senso dell’opera è un errore. In un’opera lirica è importante sentire cantare bene, fare della buona musica; la regia, le luci, i costumi sono – e devono essere – una cornice. Non si deve mai mancare di rispetto verso il compositore e l’opera d’arte.
E nel pubblico che cambiamento ha riscontrato?
Nel nostro Paese, manca un’educazione alla musica, all’ascolto. Si sono persi i parametri, che io ritengo essere oggettivi, per definire se una cosa è bella oppure no. È diventato tutto opinabile. Nella scuola italiana manca un’educazione alla musica, ma anche al rispetto.
In un momento di perdita d’identità nazionale, crede che l’opera lirica possa dare un proprio contributo positivo?
L’Italia è sempre stata la patria della melodia, ora stiamo assistendo a un’esterofilia esagerata. Abbiamo perso, senza dubbio, un po’ della nostra identità. Qualche anno fa ho partecipato a una conferenza agli Stati Generali della Lingua Italiana di Firenze, davanti all’Accademia della Crusca e all’Istituto Dante Alighieri. Mi hanno chiesto di parlare dei rapporti tra lingua italiana e opera italiana. Ho scoperto che l’80 % dell’italiano che si parla nel mondo è merito dell’opera lirica.
Ha calcato i palcoscenici più importanti del mondo. Quale le ha dato maggiori emozioni?
Per dirne uno, farei torto a tanti altri. Quello che mi ha dato più emozioni è stato il Colón di Buenos Aires. Quando ho debuttato non era stato ancora restaurato e si percepiva palpabilmente di trovarsi in un tempio della musica. Mi sembrava di sentir risuonare la voce di Caruso, Del Monaco e tutti i più grandi che avevano calcato quel palco prima di me. Non posso, tuttavia, non citare anche il Metropolitan di New York e, ovviamente, il Teatro Alla Scala.