By Manuela Mariani
24 gennaio 2017
L’uscita sul mercato del phon Dyson Supersonic ha scatenato un vero tafferuglio mediatico, che ha spaccato in due l’opinione dei consumatori: da un lato gli indignati anche solo all’idea di spendere 400 euro per “un asciuga capelli”, si levano al grido di “dovrebbe come minimo farmi un cappuccino e pure di quelli buoni”, dall’altro i liberali, a difesa del diritto di spendere i proprio soldi come meglio si crede, utilizzando a paragone l’acquisto di telefoni dal prezzo altrettanto esoso e non meno incapaci di servire colazioni.
Potevo io (ossessionata dai miei capelli, che Rapunzel levati proprio) esimermi dal provare l’oggetto dello scandalo e rendere pubbliche le mie considerazioni? Ovviamente no.
Sull’estetica non si discute, è senza ombra di dubbio un bellissimo oggetto di design, ma questa è solo una piccola nota, che si limita a colorire la mia- a dir poco entusiastica- esperienza. Caratteristiche tecniche? Il “phon più costoso al mondo” è anche il più silenzioso; persino regolato alla massima velocità, il rumore è minimo.
La temperatura non sale mai oltre i 150 gradi, facendo sì che i capelli non perdano la loro naturale idratazione durante l’asciugatura e un capello idratato è un capello meno soggetto alla formazione di doppie punte e parti del fusto spezzate. Anche paragonato ai phon più tecnologici e professionali (con ioni e contro co-ioni) si nota subito la differenza: il capello rimane più lucido, più setoso e più morbido.
Ma non finisce qui, un’altra grande novità, da non sottovalutare, è la sua maneggevolezza: Dyson Supersonic pesa solo 618 grammi, così il polso non si sforza e l’allenamento dei bicipiti viene rimandate alle apposite sessioni in palestra. Ultimo, ma non per importanza, questo apparecchio è in grado di ridurre drasticamente i tempi di asciugatura: nello specifico io, che ho i capelli lunghi fin sotto al seno, ho cronometrato ventisette minuti contro i soliti 45′.
Pare ci siano voluti quattro anni di lavoro e ricerca, più di cento teste d’ingegnere ed oltre 70 milioni di euro, per creare questo piccolo capolavoro tecnologico e, alla domanda-che continua ad assillare il web e “ma ne vale la pena”? Io rispondo un fermissimo si e, rubando le parole di bocca alla famosissima Becky Blomwood, “vi posso garantire che si tratta di un investimento!”