Ma cos’ha in più ST rispetto ad altri ? Non è di “più” che si deve parlare, ma di “meno”. Nella maggior parte delle serie ci sono morti, scandali, voyeurismo fine a se stesso oppure relazioni da soap, lacrime facili e figli che compaiono dall’Iperuranio. I fratelli Duffer, creatori del mondo di Stranger Things, hanno scelto una via diversa, hanno scelto quello che oggi si potrebbe definire riciclaggio. Non nel senso che hanno scopiazzato qualcosa da qualcuno, ma che hanno fatto propri i punti di forza dei film cult degli anni 70′ e 80′ e li hanno reinseriti in una storia che parla ai giovani di oggi. È vero che ambientazione e stile ci ricordano quegli anni – che per altro ben pochi degli spettatori hanno vissuto -, ma i temi sono quanto mai attuali. Primo tra tutti il pensiero che il pericolo venga sempre da qualcun altro. Per l’America di allora, come per quella di oggi, la vera minaccia è rappresentata dai paesi esteri, che si chiamino Russia o Corea. Subito nelle prime puntate di questa seconda stagione, i contadini si accusano l’un l’altro per le zucche marce. Ma il vero mostro si nasconde nel cuore di Hawkins, sotto gli occhi di tutti, ma nessuno ci fa caso. Ma non è solo la politica che attira l’interesse degli spettatori. Il punto di forza di ST sono le relazioni, per nulla forzate e sempre attuali: l’amicizia che lega Mike, Dustin, Lucas e Will, i primi amori tra i protagonisti, la fatica di Hopper per educare la “quasi” figlia adolescente, l’affetto di una madre, Joyce, accanto a un figlio malato apparentemente in modo incurabile. Il tutto condito con atmosfere e citazioni dai grandi film dell’epoca: da E.T. ad Alien passando per Incontri ravvicinati del terzo tipo, da Stand by me a Grease, da Ghostbusters a Indiana Jones, fino al più recente Jurassic Park.